La Chiesa era sulla buona strada per riacquistare in pochi decenni tutta la massa dei beni, che un tempo aveva accumulato con l'opera di tanti secoli. Questa potente restaurazione si effettuò in tutti i paesi di lingua francese: già da un pezzo Ginevra, la Roma calvinistica, era una città prevalentemente cattolica, e il Belgio era la terra celebrata della preteria. Però lo stato dominante della gerarchia ristabilita era tenuto dal monacato: lo spirito della nuova Roma era custodito nel modo più fedele nel chiuso dei chiostri. Sotto l'impero rimisero salde radici innumerevoli ordini antichi e novelli, e non soltanto i valenti e dotti padri dell'Oratorio, ma anche altri di dubbio valore morale. Lo stato andò loro incontro premurosamente, e solo di rado ricadde nelle vecchie abitudini della diffidenza burocratica, come, per esempio, nel 1867, quando soppresse il Consiglio generale delle Conferenze di San Vincenzo di Paola. Lo stesso duca di Persigny notò con sorpresa, come la Curia romana desse la preferenza agli ordini regolari e perfino nelle encicliche li preponesse ai secolari; e Lacordaire gli assicurò di essersi fatto monaco, per godere di maggior libertà e influenza che da semplice prete.
Dallo stesso spirito procedeva il rinnovellato zelo pel servizio delle immagini e delle reliquie, per tutti i dommi e le cerimonie che più aspramente contrastavano col protestantismo. Il culto di Maria nella Francia imperiale fu curato con una sentimentalità lattimosa, che sovente suscitò un vero e coraggioso disdegno tra gli ultramontani tedeschi.
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