Ai reggimenti rinforzati degli zuavi furono annesse le nuove truppe barbare dei turcos, e le incerte idee dell'oggi sul diritto delle genti permisero all'imperatore di adoperare questi selvaggi contro i soldati europei. Anche la flotta, dopo sforzi enormi, eguagliò finalmente l'inglese in numero di navi e in artiglierie, sebbene non potesse mai divenire come in Inghilterra un'arma nazionale capace di un continuo ringagliardimento.
L'asserzione tanto motteggiata di Napoleone III: l'empire c'est la paix, non era affatto una mera bugia, ma semplicemente un'altra di quelle mezze verità, in cui si palesava l'intima contraddizione del bonapartismo. Tutti i provvedimenti del socialismo monarchico, della felicitazione dispotica delle moltitudini, potevano prosperare unicamente in tempo di pace. Il nipote non era un uomo di guerra, un capitano: i disegni della sua politica europea non erano ispirati dalla cruda frenesia della percossa. Eppure egli aveva bisogno della devozione festosa dei suoi soldati, eppure l'impero doveva l'esistenza al culto della gloria guerresca. In tutti i tempi scabrosi i giornali ufficiosi non avevano che a sollevare la questione del Reno, per occupare le teste irrequiete del popolo e dell'esercito: avvenne così immediatamente dopo il colpo di stato, così dopo la battaglia di Königgrätz. Il signor Lavallée insegnò nella scuola militare di Saint-Cyr la teoria dei confini naturali con una goffaggine stupefacente; e il cattivo libro che scrisse sull'argomento fu coronato dall'Accademia.
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