L'opinione media dei francesi era racchiusa nell'aforismo di Thiers: rien n'est plus déplorable que les nationalités; che in tedesco vuoi dire: solamente la Francia ha il diritto di formare un forte stato nazionale.
Senza dubbio, anche nella politica europea di Napoleone apparve lo sconciamento di questo cervello, che in tanti anni di esistenza profuga, in eterni almanaccamenti e sognamenti, aveva affatto disimparato di stare al sodo, e di mantenere immutato un disegno con profonda serietà volitiva. In un'ora di sdegno, dopo la pace di Villafranca, Cavour opinò, che Napoleone portasse nella mente molte idee politiche, ma nessuna matura e pronta, e che per questo era corrivo a lasciare in asso l'opera sul bel principio. Nei giorni tranquilli il grande italiano ha espresso un giudizio più mite; ma noi che oggi abbracciamo con lo sguardo tutta la politica del bonapartismo fino al suo suicidio, possiamo tener buona la parola irata di Cavour. Il napoleonide sedeva sulla carta d'Europa ruminando, limandosi continuamente il cervello se gli convenisse spostare una frontiera al settentrione oppure al mezzogiorno: una fucina di disegni senza mai posa: e con tutto ciò era ben altro che una natura elastica, ma un flemmatico lento, che più cambiava posizione e meno si trovava a posto. E finiva sempre col soggiacere all'intima falsità del dispotismo democratico. Le idee nazionali del secolo dovevano effettuarsi, ma solo con un sistema ingegnoso di alleanze, solo con l'aiuto della Francia, e la nazione felicitatrice di popoli, la nazione dirigente doveva esserne ripagata in terre e genti.
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