Il révendiquer, il ridomandare l'antico territorio napoleonico parve altrettanto irremissibile a tale politica, come la costituzione degli stati nazionali: solo che l'una idea escludeva l'altra.
Il favore della fortuna iniziava l'imperatore in una êra rigogliosa, in cui le condizioni dell'Europa erano mature alle grandi risoluzioni: ed egli, da cervello sistematico qual era, si dava ad approfondire con accorgimento la "questione" emergente, ed era ben in diritto di dire: étudier une question n'est pas la créer. Per molto tempo aveva trattato di politica come giornalista; sovrano, conservò l'antica abitudine. Non un solo atto della politica neonapoleonica fu posto in iscena senza programmi solenni, senza il buscherio delle frasi patetiche. Verrebbe il tempo, che un uomo ben più grande avrebbe svelato, a confusione e scorno, la meschinità di mezzi siffatti. Il conte Bismarck ha dimostrato al mondo, che una vera politica moderna raggiunge magnifici successi solo con l'opera di popoli emancipati, fidanti esclusivamente in sé stessi; e dimostrò, inoltre, che la politica più geniale e inventiva si svolge continuamente nelle forme più semplici degli affari. Il restare a mezzo, il mancato successo di molte intraprese dell'imperatore si spiega meramente con la situazione contraddittoria di un uomo, che era nello stesso tempo un despota e un erede della Rivoluzione, nello stesso tempo uno statista di idee europee e il dominatore della nazione più vanagloriosa.
Il nuovo sovrano non potè resistere a prima giunta alla debolezza del parvenu: cercò di entrare nella sfera di parentado delle corti legittime.
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