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      Indaghino pure i furbi, se il carbonaro non fosse legato a un grave giuramento; le idee direttive della politica napoleonica bisogna spiegarle con motivi più semplici. Il condottiero di bande della Romagna aveva affinati, non già dimenticati, gl'ideali della sua giovinezza: lo dimostrò la sua lettera a Edgardo Ney. Gli antichi legami della sua dinastia coi patrioti italiani erano continuati: i Pepoli erano imparentati coi Murat, il conte Arese era stretto in amicizia col monarca piemontese, come col francese. Il fanatico del papato liberale, il padre Ventura, viveva alle Tuileries come confessore, Farini durante l'esilio aveva frequentato la casa di Gerolamo. Anche più efficace riuscì la segreta attività del triumviro romano esiliato Livio Mariani, il quale per anni e anni non ristette mai dal ricordare all'imperatore i sogni di gioventù. Il nipote, condotto sempre a rifarsi alle idee dello zio, vedeva nel Piemonte l'erede naturale del napoleonico Regno d'Italia; in questo stato doveva aver centro il riordinamento della Penisola e anche l'influenza della Francia. A più riprese il despota si permise d'immischiarsi con pedagogheria nella situazione interna del piccolo ma libero stato, e per un pezzo appoggiò perfino i clericali torinesi contro il gabinetto liberale; pure, egli non rinunziò mai a sperare un'alleanza gallo-sarda, vagheggiata fin da dopo la battaglia di Novara. "Sono nubi passeggere", disse confortante all'italiano Collegno poco dopo la fondazione del trono imperiale; "verrà il giorno che i nostri eserciti lotteranno insieme per la nobile causa dell'Italia". Conosceva l'Italia: l'acuta osservazione e la notizia sicura delle cose lo condussero all'opinione, che nel proclama di guerra compendiò nelle parole: "le cose sono state spinte dall'Austria a tal segno, che o l'Austria deve dominare fino alle Alpi Marittime, o l'Italia esser libera fino all'Adria". Conosceva la stretta affinità dei due popoli, sapeva che gli uomini di stato del Piemonte erano affatto imbevuti di cultura francese, e che perfino Cesare Balbo, il patriota idealista, soleva affermare: "io sono prima italiano e dopo francese". E previde che le popolazioni di Francia, sempre sensibili ai moti magnanimi, avrebbero accolto con gioia la guerra di liberazione del paese consanguineo.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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