Davanti a tali benefici l'Europa indulgente dimenticava volentieri, che i saccheggiatori unnici del gran tempio dei cinesi avevano aggiunto una nuova fronda a quella corona d'alloro, le cui foglie portavano scritti i nomi di Speyer, di Friburgo, di Worms e di Heidelberga deleta. L'imperatore, a quanto pare, era convertito all'opinione di Persigny: "la parte guerriera della Francia in Europa è terminata": sperava di assicurare l'avvenire della sua Casa mercé i benefizi della pacifica espansione dei commerci.
Ma la potente età lanciò nuovi movimenti, che non ubbidivano alla direzione del bonapartismo. Prima di tutto l'insurrezione della Polonia. L'insinuazione saccente, se il dittatore Langievicz non stesse forse al servizio di Napoleone III, già da un pezzo oggi è soggiaciuta al riso meritato. "Dovrei", disse l'imperatore stesso, "riguardare la causa della Polonia come assai popolare in Francia, se arrischiassi per sua ragione la buona intesa con la Russia". Col fatto, questa amicizia con l'impero degli czar, rafforzata al Congresso di Parigi, garantiva allo stato napoleonico l'unico e solo appoggio straniero. Nondimeno, una volta posta la questione, e ridesto il fantastico entusiasmo della nazione per gli antichi alleati di Bonaparte, il napoleonide non poteva esimersi da una fastidiosa ingerenza. Così gli toccò di provare una insolente ripulsa e di assistere all'annientamento della Polonia. Cercò di medicare lo smacco invitando il 4 novembre 1863 i principi di Europa a congresso sulla Senna.
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