Vedemmo appresso con raccapriccio, come i vinti si sbranassero in una orrenda carneficina sotto gli occhi del vincitore, e come il partito trionfante usasse del suo ufficio di carnefice con una fredda crudeltà, appetto alla quale i misfatti del 2 dicembre parvero un innocente trastullo. E mentre la nazione si gloriava di essersi disimpegnata per sempre del bonapartismo, levò sul suo trono repubblicano il gran bugiardo Thiers, il padre della leggenda napoleonica! Prima della guerra germanica una mente politica doveva desiderare la durata della dinastia napoleonica, e in verità non certo pei Bonaparte, ma per la libertà. Se la Casa regnante si fosse consolidata, sarebbe stato sempre concepibile un progresso verso forme statali più libere. Ma ora, che era riprincipiato novellamente l'antico sciagurato circolo corrente dall'anarchia alla tirannide, noi eravamo delusi anche nei nostri desiderii. Governasse pure un quarto Napoleone, un nipote di Filippo Égalité, un Gambetta o un qualsiasi altro despota repubblicano, nessuno avrebbe steso lealmente a noi tedeschi la mano della riconciliazione. Comunque possa chiamarsi la sua forma di stato, è palmare che la Francia rimane il paese della polizia, dell'amministrazione dispotica, della soldatesca degradata in servizi di birri, dei tribunali partigiani, del protezionismo, della frase parlamentare, dell'abbrutimento popolare, del fanatismo cattolico; in una parola, il focolare della reazione europea. È questo, in succinto, il costrutto di dieci rivoluzioni!
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