Percorriamo in ispirito la città profanata, che fu un tempo la più ospitale della terra e che oggi nessun tedesco dignitoso può visitare più. Sconcertati dalle impressioni contraddittorie che a ogni pie sospinto assalgono il passeggiero, cerchiamo un rifugio tranquillo dove ci sia dato respirare e riprendere animo sull'avvenire di questa nazione. Noi camminiamo attraverso lo strepito dei boulevards, dove oggi si pavoneggia l'impudenza, non più il fasto del vizio. Traversiamo la piazza Vendôme: era qui la superba colonna, che tanto spesso contemplò dall'alto i battaglioni pronti a partire per la guerra. Il vive l'empereur! che è qui risonato, ci richiama tristemente il saluto di schiavi dei gladiatori morenti; ma più atrocemente ci passa il cuore l'ululo furibondo dei giovinastri, che rovinarono il monumento della gloria nazionale. Andiamo avanti, al giardino delle Tuileries, davanti a quella statua di Spartaco, che suscitò un tempo l'ammirazione di Börne. Noi non vediamo l'immagine del libero cittadino nello schiavo che spezza le catene, come dicono le nere rovine del castello imperiale che spuntano laggiù dietro gli alberi; né questo crudo contrasto di libertà e di servitù esaurisce in noi il senso profondo della vita dello stato. Tiriamo oltre, sulla piazza della Concordia: mostra ivi l'obelisco di Luxor le sue forme puerilmente senili; monumento eloquente per un popolo, che lì davanti deve procurare di scordarsi di sé stesso. Ma troppo sono orride le ombre che salgono su da questo suolo, sul quale un tempo la ghigliottina eseguiva la sua opera sanguinosa; e solo una scultura che ricordasse il Nulla potrebbe adornare questo luogo.
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