Se Archimede o Apollonio potessero rivivere oggi ed esser messi a parte di tutto ciò che è stato trovato o dimostrato dai loro tempi fino a noi sui soggetti da loro investigati, non si potrebbe mostrar loro una sola proposizione che contraddica alle conclusioni alle quali essi erano arrivati, ed essi non potrebbero esser costretti a confessare d’aver avuto torto in una sola delle loro affermazioni. Se Euclide assistesse a una lezione di geometria in uno dei nostri licei o istituti tecnici, non durerebbe certo fatica a riconoscere che le proposizioni, le definizioni, i teoremi, le dimostrazioni che costituiscono la materia del programma svolto, sono in fondo ancora le sue proposizioni e le sue dimostrazioni, solo qualche volta leggermente ritoccate e non sempre migliorate. Se egli poi volesse divertirsi a sfogliare un volume qualunque dei nostri periodici di matematica non tarderebbe ad afferrare, attraverso alle differenze puramente formali e secondarie, la profonda identità tra lo spirito che animava le sue ricerche e quello che continua a guidare e dominare le ricerche dei matematici d’oggi; egli constaterebbe come il suo rigore è ancora il nostro rigore, come il suo punto di partenza è ancora il nostro punto di partenza, e come non ci è possibile studiare neppure quella geometria che abbiamo voluto chiamare non euclidea senza far uso dei procedimenti di cui egli per il primo ci ha insegnato a valerci.
Non è solo però sotto questa forma diretta e tangibile che la cooperazione tra i cultori attuali delle scienze matematiche e i loro predecessori si manifesta e dà impulso ai progressi della scienza.
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Archimede Apollonio Euclide
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