I suoi ragionamenti sui fenomeni naturali, anche in quei casi nei quali essi, invece di esser diretti a dimostrare le conclusioni a cui portano, sono adoperati per mettere alla prova le premesse su cui si fondano, mirano a raggiungere questo scopo più col mettere in mostra le contraddizioni e le incoerenze tra le varie affermazioni, o far vedere che esse non possono essere ammesse simultaneamente, che non collo spingere a conclusioni non prima sospettate, e la cui verifica sia atta a provocare nuove osservazioni, che contribuiscano a un maggiore schiarimento della questione di cui si tratta.
I documenti che ci rimangono sulle teorie fisiche dei greci, ci mostrano d’altronde che questo carattere, lungi dal costituire un distintivo speciale della scuola peripatetica, era comune a tutti i vari indirizzi speculativi che si contesero a lungo il campo delle ricerche fisiche, non escluso certamente neppur quello rappresentato da Democrito e in seguito dagli epicurei, sebbene quest’ultimo presenti per altri rispetti qualche maggiore affinità, del resto più di forma che di sostanza, coi concetti e colle teorie della scienza moderna. Per dare un’idea dell’indole delle questioni e delle difficoltà, nella cui soluzione i greci facevano consistere lo scopo delle ricerche fisiche, citerò uno dei celebri ragionamenti coi quali Zenone deduceva l’impossibilità del moto dall’ipotesi che il tempo consti di una serie di istanti o attimi (atomoi) indivisibili. «Il moto, essendo un cambiamento di posizione da istante a istante, esige, onde possa aver luogo, per lo meno due istanti che corrispondano a due posizioni diverse.
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Democrito Zenone
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