Onde se consideriamo il corpo in un determinato istante, non potremo dire che in quello si muova: e potendo ripetere la stessa cosa anche di tutti gli istanti successivi, il corpo non si muoverà in nessuno di essi, e quindi neppure nell’intervallo di tempo che essi presi insieme costituiscono. Onde il moto non è che un inganno dei sensi».
Lasciando da parte ogni considerazione sulla portata o sulla legittimità di questa argomentazione, ciò che salta subito all’occhio di chi la esamini, in riguardo alla sua attitudine ad insegnarci qualche cosa sulla natura e sulle leggi del moto, è la assoluta incapacità a suggerirci una qualsiasi verifica sperimentale o far rivolgere la nostra attenzione a qualche fatto al quale non avessimo potuto pensare anche prima di architettarla. Con essa la mente di chi indaga, per servirmi di un paragone che Schopenhauer, un po’ sul serio un po’ per burla, applicava a certi ragionamenti dei geometri, si viene a mettere nella stessa posizione in cui si trova un gatto che continui a inseguire la propria coda credendola un corpo estraneo che gli sfugge, senza accorgersi che, per quanto giri, egli si troverà sempre rispetto a quella nella stessa condizione.
Ritornando a quanto prima dicevo, la storia delle scienze ci mostra chiaramente che, tra le cause che hanno condotto gradualmente alla sostituzione dei moderni metodi sperimentali al posto degli antichi metodi di semplice osservazione passiva, va annoverata, come una delle più importanti, l’applicazione della deduzione(28) anche a quei casi nei quali le proposizioni prese come punto di partenza erano considerate come più bisognevoli di prova che non quelle a cui si arrivava, e nei quali quindi erano queste ultime che dovevano comunicare, alle congetture fatte, la certezza che attingevano direttamente dal confronto coi fatti e dalle verifiche sperimentali.
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Schopenhauer
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