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      L’impossibilità di trovare, nei fatti spontaneamente presentantisi all’osservazione, il materiale adeguato per la verifica delle conclusioni a cui spingevano deduzioni che, per quanto corrette e rigorose, non erano basate su premesse riconosciute per se stesse meritevoli di fiducia incondizionata, come quelle dei matematici, fece nascere il desiderio e il bisogno di allargare con artifici la sfera dei fatti da utilizzare per controllo delle teorie, e contribuì, più di qualunque altra circostanza, a portare all’impiego sistematico di quell’osservazione di fatti artificialmente provocati allo scopo di osservarli, che costituisce l’esperimento propriamente detto. In altre parole, i fisici antichi non si sentivano spinti a sperimentare soprattutto perché, essendo più intenti a garantirsi della certezza delle proposizioni da cui prendevano le mosse che non della verità di quelle che da esse deducevano, non potevano aver ragione di domandarsi che cosa avvenisse in casi diversi da quelli che, presentandosi spontaneamente alla loro osservazione, suggerivano ad essi immediatamente le generalizzazioni su cui basavano i loro ragionamenti.(29) Onde è lecito affermare, che fu in certo senso l’applicazione sempre più vasta e sistematica della deduzione allo studio dei fenomeni della natura, che fornì il primo impulso allo sviluppo dei metodi sperimentali moderni, e che non è da attribuire al caso se i più eminenti iniziatori di questi furono anche nello stesso tempo i più grandi instauratori e fautori dell’applicazione alle scienze fisiche di quel potente strumento di deduzione che è la matematica.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483