Ciò che gli scienziati greci intendevano per spiegazione di un dato fenomeno non era tanto la sua analisi e scomposizione nelle sue parti elementari, o la determinazione delle leggi della sua produzione, quanto piuttosto il suo ravvicinamento o identificazione con altri fenomeni più comuni e famigliari, i quali, appunto per tale ragione, non eccitavano in loro quel genere speciale di stupore o di meraviglia che li conduceva a domandarsi perché avvenissero. Davanti a un fatto strano e inesplicato, la loro preoccupazione principale era quella di riconoscere in esso qualche carattere che permettesse di riferirlo a qualche classe di fenomeni meno atti a sorprendere a causa della loro maggiore frequenza, e questo riferimento era da essi effettuato col paragonare direttamente il fatto in questione con qualche altro più famigliare ad esso somigliante, e collo spogliare ambedue dei caratteri accessori mascheranti la loro sostanziale identità. Possono servire come esempi di spiegazioni di questo tipo quelle che dà Aristotele dei meccanismi più semplici, nelle sue Questioni Meccaniche, riducendoli o tentando ridurli al caso della leva. Come stimolo e incentivo a questa operazione mentale, essi indicavano espressamente il desiderio di liberarsi dall’inquietudine, e qualche volta anche (come per esempio nel caso dei fenomeni meteorologici, che occupavano tanta parte nelle speculazioni fisiche dei greci) il desiderio di emanciparsi dai timori che loro incuteva il prodursi dei fenomeni troppo differenti da quelli soggetti al loro proprio controllo.
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Aristotele Questioni Meccaniche
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