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      La ripugnanza per la deduzione in tutti i casi in cui essa non serva a provare qualche cosa di cui prima si dubitasse, l’inabilità a servirsi di essa come d’un mezzo per garantirsi contro le generalizzazioni troppo affrettate,(35) aumentando in certo modo i punti di contatto tra ciascuna teoria e i fatti dai quali essa può attendere una conferma o una contraddizione, la mancanza della pazienza, e direi quasi dell’abnegazione, necessaria per rintracciare accuratamente le conseguenze di ipotesi o principi meno intuitivi e meno saldi di quelli della geometria, esponendosi al rischio di ottenere come unico risultato delle proprie fatiche la convinzione di esser partiti da supposizioni mal fondate e di dover rifare lo stesso lavoro prendendo un diverso punto di partenza, il non accontentarsi di vaghe analogie ma pretendere che la conformità, tra i fenomeni paragonati, si verifichi fino nei più minuti particolari accessibili ai nostri sensi o al controllo degli strumenti e delle misure, ecco altrettanti caratteri che si riconnettono alla stessa differenza sopraindicata, tra i vecchi metodi e quelli ai quali sono dovuti i rapidi progressi delle scienze fisiche negli ultimi tre secoli.
     
      L’opinione comunemente accettata, che fa consistere questa differenza nella semplice sostituzione d’un nuovo metodo, basato sull’esperimento e sull’osservazione, al posto di un preteso antico metodo procedente per affermazioni a priori e per pura deduzione, lungi dal comprendere ed esaurire i caratteri veramente essenziali pei quali i nuovi processi di ricerca si distinguono dagli antichi, mi sembra lasciar fuori di considerazione precisamente quelli che si possono ritenere come i più fondamentali e dei quali i rimanenti non sono che mere conseguenze.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483