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      Non è quindi da stupire se l’avere il metodo deduttivo fatto così, in certo modo, causa comune colla tendenza al soverchio rispetto della tradizione, e colla ripugnanza a far risalire il dubbio e l’esame al disopra di certi limiti prefissi, abbia avuto per conseguenza che i primi tentativi di riforma e di miglioramenti nei metodi di investigazione si presentassero sotto l’aspetto di proteste contro l’abuso della deduzione e di rivendicazioni in favore della induzione, il solo appello alla quale costituiva già, per se stesso, una manifestazione di insufficiente fiducia nei principi che non era lecito discutere. Le declamazioni di Bacone sulla sterilità della dialettica e contro la sillogistica di Aristotele sarebbero state assai meno violente e accanite, se egli non fosse stato costretto, come dice il proverbio, a parlare alla nuora perché la suocera intendesse, se egli cioè avesse potuto scindere completamente le sue obbiezioni contro l’abuso del sillogismo dalle sue critiche contro l’insieme di pregiudizi e di errori che, per mezzo della deduzione, erano resi atti a organizzarsi in formidabile falange contro qualunque tentativo di progresso e di avanzamento delle scienze al di là delle Colonne di Ercole segnate da autorità incompetenti. A questo riguardo, la posizione nella quale egli e gli altri novatori suoi contemporanei o predecessori si trovarono di fronte ai rappresentanti delle vecchie idee, e la necessità, nella quale essi si videro posti, di considerare come loro avversari i loro stessi maestri, mi richiama alla mente il caso degli eroici difensori di quel comune medioevale, i quali, nell’assedio che sostennero contro Federico Barbarossa, furono obbligati a difendersi rivolgendo i loro colpi contro i loro stessi concittadini, coi corpi dei quali l’imperatore aveva fatto tappezzare le pareti delle macchine e dei ripari, dietro i quali i suoi soldati si avanzavano sotto le mura della città.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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