Perfettamente analogo a questo è il procedimento che dovettero seguire i primi che si proposero lo studio delle forme e delle figure dei corpi, emancipandolo da qualunque considerazione relativa alle altre proprietà dei corpi stessi o della materia di cui le figure fossero composte.
Questo semplice processo di astrazione che rese, nello stesso tempo, possibile e necessaria l’applicazione della deduzione alla ricerca delle proprietà dello spazio, sembra a noi così semplice e naturale che non riusciamo quasi a capacitarci che esso possa aver costato fatica o sforzo intellettuale. Noi andiamo anzi fino al punto di qualificare come mistico e metafisico, nel senso cattivo della parola, il modo di esprimersi di Platone, quando descrive questo processo mentale, dicendo che esso consiste nel sostituire, al vano inseguimento delle immagini caduche e fugaci che i sensi ci presentano, la considerazione dei loro prototipi o modelli inalterabili o perpetui, e la contemplazione delle forme (eide) o idee eterne delle cose, idee o modelli rispetto ai quali gli oggetti reali, che loro corrispondono, stanno nella stessa relazione come le ombre rispetto ai corpi che le producono. Il fatto che ora ci sentiamo indotti a invertire questa metafora e a vedere piuttosto nelle nostre teorie e nelle nostre astrazioni le ombre delle cose, che non nelle cose o negli oggetti reali le ombre dei nostri concetti e delle nostre astrazioni, non ci deve impedire di riconoscere la parte di verità che è contenuta in quel celebre e poetico mito platonico, nel quale gli uomini, impigliati nelle sensazioni, e incapaci di astrarre, sono paragonati a persone sedenti in una grotta semi oscura colle spalle rivolte all’apertura donde entra la scarsa luce, e che sono obbligate a osservare, invece degli oggetti che passano davanti a quella, le ombre indistinte e deformate che essi proiettano sulle pareti irregolari e cavernose della grotta.
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Platone
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