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      Sui processi mediante i quali si giunge alla cognizione e all’accertamento di queste proposizioni non è qui il caso di trattenerci. È invece opportuno pel presente proposito richiamare l’attenzione sul contrasto radicale che sussiste tra queste proposizioni e quelle invece colle quali noi esprimiamo la nostra intenzione d’includere o no un dato carattere tra quelli che fanno parte del significato d’un dato nome.
      Con queste noi non enunciamo alcun apprezzamento suscettibile di essere vero o falso, cioè conforme o no ai fatti ai quali esso si riferisce, ma esprimiamo solo il nostro deliberato proposito di usare una data parola in un dato senso e il nostro desiderio di portare tale nostra intenzione a cognizione altrui; con esse cioè enunciamo semplicemente delle norme alle quali dichiariamo di volerci attenere nell’esprimere le nostre opinioni per mezzo del linguaggio, norme che non possono essere riputate né vere né false, ma solo opportune o non opportune, adatte o non adatte al particolare scopo che ci prefiggiamo.
      Un fatto, importantissimo a notare dal nostro punto di vista, è questo, che nel linguaggio ordinario manca affatto (a meno di ricorrere a circonlocuzioni) alcun segno esteriore verbale per distinguere, indipendentemente dal contesto del discorso, se una data proposizione appartenga all’una o all’altra delle due sopradette categorie.(48) Se infatti indichiamo con A e B due nomi generali qualunque, la stessa frase: gli A sono B, può essere adoperata tanto per esprimere la nostra credenza che, ogni qualvolta sono verificate le condizioni che rendono il nome A applicabile a un dato oggetto, si verificano anche le altre condizioni che rendono applicabile anche il nome B, quanto per indicare che tra le condizioni, che noi esigiamo siano soddisfatte perché il nome A sia applicabile, si trovano anche quelle che noi esigiamo siano soddisfatte perché sia applicabile il nome B.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483