Basta talvolta la più piccola incertezza sul significato d’una parola per rendere assolutamente impossibile decidere se una data proposizione, nella quale essa entri, ci dia qualche informazione, vera o falsa, sui fatti ai quali si riferisce; o non sia invece destinata che a indicarci quale relazione passi tra il significato che vogliamo dare alla parola stessa e quello che, da noi o da altri, si dà ad altre parole.
Mi servirò, per schiarire questa distinzione, di un esempio desunto dalla meccanica:
la parola «momento» di due forze, o di due pesi, fu introdotta per la prima volta da Galileo per esprimere il variare dell’efficacia colla quale una stessa forza, o uno stesso peso, tendono a far muovere un dato meccanismo, col variare del punto di questo a cui sono applicati, o della direzione secondo cui agiscono, o, in generale, col variare di qualsiasi condizione a cui la loro azione possa essere assoggettata, sia in virtù dei vincoli del sistema, sia in virtù delle proprietà del mezzo in cui il movimento avviene. Così un dato peso ha maggiore o minor «momento» a seconda dell’inclinazione del piano lungo il quale discenda, o a seconda della minore o maggior densità di un liquido in cui si trovi immerso.
Galileo diceva quindi che due forze o pesi diversi erano di egual momento rispetto ad un dato ordigno, a dati punti del quale erano applicate, quando, non ostante la loro differente intensità o direzione, esercitavano un’identica azione per smuoverlo, o, in altre parole, quando erano applicate in modo che l’una sarebbe stata capace di far equilibrio all’altra, quando questa si rivolgesse in senso contrario.
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Galileo
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