Così, per esempio, sebbene non sia questa la sola causa che ha originariamente contribuito a far nascere l’idea, assai diffusa anche al presente, che i principi dell’aritmetica e della geometria debbano considerarsi come verità superiori e indipendenti da ogni esperienza e godenti d’una certezza, non semplicemente di grado maggiore, ma in certo modo d’una natura e provenienza differente da quella della quale godono tutte le altre verità a noi conosciute, è evidente tuttavia che essa è da annoverarsi tra le cause che maggiormente hanno agito ed agiscono ad alimentare tale pregiudizio e a impedire che si riconosca l’illegittimità delle prove a cui s’appoggia.
Si vede facilmente come essa eserciti la sua azione a questo riguardo. Il fatto, che in geometria, come in qualunque altra scienza a tipo deduttivo, noi siamo costretti a prendere per punto di partenza delle supposizioni che non possono trovare la loro perfetta realizzazione in alcun caso concreto, ma rappresentano in certo modo delle semplificazioni ideali delle forme e dei processi che l’esperienza ci presenta, fa sì che le proposizioni fondamentali della scienza assumano l’aspetto non tanto di asserzioni relative alle proprietà che possiedono, o sono supposte possedere, le cose di cui parliamo, quanto piuttosto di convenzioni mediante le quali noi precisiamo dei concetti e limitiamo la sfera entro la quale noi intendiamo dar corso alle nostre considerazioni. Ne risulta che alle dette supposizioni fondamentali si può dare senza inconvenienti la forma di definizioni, purché si aggiungano ad esse i «postulati» che sono richiesti per poter dimostrare, in ogni singolo caso, che degli enti, corrispondenti alle singole definizioni che enunciamo, sono «possibili» o «costruibili». Quando le basi della scienza sono presentate sotto questa forma, qualunque obbiezione che si possa sollevare contro una proposizione fondamentale viene ad apparire non solo come eventualmente infondata, ma addirittura come assurda.
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