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      Se da alcuno per esempio venisse espresso il dubbio che la «retta» non goda di tutte le proprietà fondamentali che ad essa vengono attribuite nella trattazione ordinaria della geometria, gli si può rispondere che ciò non può essere, perché in tal caso essa non sarebbe più «retta», col che non si vuol dir altro in fondo che ciò: che essa in tal caso dovrebbe esser chiamata con un altro nome, il che in fondo non è che una questione di dizionario.
      I geometri greci che adottarono pei primi questa forma di esposizione erano del resto perfettamente consci che, per poter dedurre da semplici definizioni delle conclusioni che non fossero puramente verbali o illusorie, è necessario o supporre tacitamente, o postulare, o dimostrare per mezzo di assiomi antecedentemente assunti, l’esistenza o la costruibilità di enti soddisfacenti alle condizioni enunciate nelle definizioni stesse.
      Aristotele, i cui scritti logici rappresentano, in certo modo, una codificazione dei processi seguiti dai fondatori della geometria come scienza deduttiva, non ha mancato di rilevare nei termini più espliciti e generali la distinzione sopra accennata. Nel capitolo VII del secondo libro degli Analytica posteriora egli mette in guardia contro le confusioni e i sofismi, che possono nascere dal perderla di vista, colla seguente frase: Di nessuna cosa si può affermare che essa esista per definizione (to d'eìnai ouk ousìa oudenì), e la storia della filosofia scolastica è là per mostrarci quanto fosse lontano dall’esser superfluo questo suo savio avvertimento.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Analytica