Egli sembra esser giunto a questa così strana conclusione basandosi sull’opinione (che pochi contesteranno) che, se gli antichi si fossero fatti della «forza» un concetto analogo a quello che tale parola esprime nella meccanica moderna, essi non avrebbero potuto fare a meno di credere alla verità della legge d’inerzia. Ma che cosa prova ciò se non che per arrivare a farsi della «forza» un tale concetto è necessario essere già prima in possesso delle cognizioni che portarono ad ammettere la legge d’inerzia? Fu il possesso di queste cognizioni che condusse a dare al nome «forza» il significato che esso ha attualmente, e non questo nuovo significato che condusse all’acquisto di quelle cognizioni.
Ed è solo per chi possieda queste ultime, che la definizione che attualmente si dà della «forza» nei trattati di meccanica rappresenta qualche cosa di più che un cambiamento arbitrario del senso che tale parola ha nel linguaggio comune, cambiamento che potrebbe altrimenti sembrare più atto a produrre equivoci che a dare informazioni sulle cause o sulle leggi del moto.
VI
Un’altra forma, sotto la quale si presentano frequentemente le illusioni verbali dovute alla causa di cui stiamo parlando, consiste nello scambiare i tentativi di analizzare e decomporre nei suoi elementi il significato d’un dato nome, per dei ragionamenti diretti a mostrare la non esistenza di oggetti a cui tal nome sia applicabile. La stessa tendenza, cioè, che ci spinge a vedere, nell’enunciato d’una definizione, un’asserzione sull’esistenza dell’oggetto definito, ci induce anche a scambiare il rifiuto d’accettare una data definizione per un rifiuto di ammettere l’esistenza di oggetti cui si possa applicare il nome pel quale si vuol proporre una definizione nuova, più esatta o più opportuna.
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