E in tal modo, per prendere un esempio che fa epoca nella storia del pensiero moderno, che le classiche ricerche del Berkeley sul concetto di «sostanza» e di «realtà»(52) furono qualificate come miranti a negare l’esistenza della materia e la realtà del mondo esteriore, pel solo fatto che esse tendevano a dimostrare che, quando noi diciamo: «il tale oggetto esiste realmente», noi non possiamo voler dir altro che questo: che crediamo che, se noi, o altri esseri simili a noi, si trovassero in certe determinate condizioni, proverebbero certe determinate sensazioni.
Si obbiettava e si obbietta ancora da molti contro questa opinione che essa è incompatibile colla credenza comune all’esistenza di qualche cosa «fuori di noi» e che, adottandola, si verrebbe a togliere ogni distinzione tra apparenza e realtà, tra sensazione e allucinazione; mentre al contrario essa rappresenta appunto un tentativo, perfettamente legittimo, di precisare in che cosa consista effettivamente tale distinzione, e di determinare quali sono i caratteri sui quali essa si fonda e che ne costituiscono l’importanza teorica e pratica.
Lungi dal togliere significato alle frasi con cui si asserisce l’esistenza o la realtà degli oggetti materiali, l’opinione del Berkeley ci fa acquistare più chiara coscienza di ciò che vogliamo dire quando le pronunciamo e ci rende meno soggetti a cadere nei numerosi equivoci che provengono dalla molteplicità di sensi diversi che le parole «esistenza», «realtà», ecc., assunsero nel linguaggio comune.
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