Ora non v’è si può dire altra scienza, nella quale questo modo di descrivere, che designiamo col nome di spiegazione, sia spinto così innanzi e applicato in modo così sistematico come nella meccanica. Il negare quindi, che i ragionamenti che occorrono in questa scienza costituiscano delle spiegazioni dei fenomeni da essa studiati, non solo è un voler usare la parola spiegazione in un senso tale da renderla inapplicabile a qualunque processo o ragionamento che si riscontri in qualsiasi altra scienza, ma (ciò che è ancora peggio) è un usarla in modo da rendere impossibile attribuire ad essa alcun significato assegnabile, non potendosi altrimenti determinare quali caratteri debbano presentare i ragionamenti che si riscontrano in una data scienza perché sia lecito dire che con essi noi diamo delle «spiegazioni» dei fatti ai quali essi si riferiscono.
VII
Gli equivoci del genere di cui ora parliamo, inducendoci a formulare delle questioni di cui non possiamo neppur concepire la possibilità di trovar delle soluzioni, sono atti a fornire alimento a teorie soverchiamente pessimiste e scoraggianti sui limiti che la ricerca scientifica deve imporre a se stessa.(55)
Ogni allargamento delle nostre cognizioni, si dice, non fa che allargare e rendere più estesa, per dir così, la nostra superficie di contatto coll’ignoto e coll’inesplicabile, e le nostre spiegazioni non fanno che sostituire un «mistero» ad un altro. Quanto più vero, e anche più utile, sarebbe invece l’osservare che la distinzione tra cose «spiegate» e cose «non spiegate» non si riferisce ad alcuna intrinseca differenza nella loro certezza o «conoscibilità», ma solo alla nostra capacità di dedurre le nostre cognizioni le une dalle altre, di ordinarle cioè in modo che parte di esse compaiano come conseguenze delle rimanenti.
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