Se, tra due classi di fenomeni che a tutta prima sembravano non avere alcuna connessione tra loro, si viene, in seguito a una scoperta o a un’intuizione geniale, a riconoscere un’analogia tanto intima da permetterci di dedurre il loro modo di comportarsi da uno stesso gruppo di leggi generali, che per l’innanzi si ritenevano applicabili solo ai fenomeni di una delle dette classi, noi diciamo di aver trovato una «spiegazione» dei fenomeni dell’altra classe per mezzo di quelli della prima.
Noi avremmo altrettanta ragione di dire che un tale risultato costituisce una «spiegazione» dei fatti della prima classe per mezzo di quelli della seconda: il dire una cosa o l’altra dipende dal punto di vista a cui ci collochiamo, o, per parlare più propriamente, dipende dalla circostanza che i fatti dell’una classe sono per noi più famigliari di quelli dell’altra, e che fu l’osservazione di essi che ci condusse per la prima volta alla cognizione di quelle leggi che in seguito, per ulteriori indagini, siamo venuti a riconoscere come applicabili anche a quelli dell’altra classe.
Ora è evidente che tale circostanza, per quanto la sua considerazione possa avere importanza dal lato storico o psicologico, non può certamente dar luogo ad alcuna distinzione fondamentale tra l’una e l’altra classe di fenomeni; né essa ci deve impedire di riconoscere che, nei processi di «spiegazione», entrano, per così dire in modo simmetrico, i fenomeni dei quali si dà spiegazione e quelli per mezzo dei quali la spiegazione è data, precisamente come nei processi di comparazione non v’è alcuna differenza sostanziale tra l’atto di paragonare una cosa con un’altra e quello di paragonare l’altra colla prima.
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