Meno male se le si attribuisse l’ufficio di clearing house, di fronte alle scienze propriamente dette.
VIII
Un’illusione dello stesso genere di quelle di cui ho finora parlato è quella che si manifesta nell’opinione che tutte le parole delle quali non si possono dare delle definizioni debbano per ciò solo essere considerate come aventi un senso meno definito, o, in certo modo, più misterioso di quelle che si possono definire; come se per definire queste ultime non fosse appunto necessario, in ultima analisi, servirsi delle prime, e come se qualunque indefinitezza o misteriosità che si potesse attribuire alle parole non definite, non dovesse, a maggior ragione, attribuirsi pure a tutte le altre parole che noi definiamo appunto per mezzo di esse.
Non si riflette che la nostra incapacità a rispondere alla domanda: «Che cos’è la tal cosa?» non può provenire sempre e solamente dal fatto che noi non conosciamo abbastanza la cosa di cui si tratta, ma al contrario dipende in molti casi da ciò che noi la conosciamo troppo, cioè tanto da non poter assegnare alcun altra cosa che ci sia più nota e della quale quindi ci sia possibile servirci per definirla.
È questa la ragione che dà Newton, nell’introduzione del suo libro: Philosophiae naturalis principia mathematica, per non definire le parole «tempo», «spazio», «moto»: «Tempus, spatium, motus, quae notissima sunt, non definio».
La quale osservazione naturalmente non toglie che possa esser conveniente, e per certi scopi anche necessario, analizzare ulteriormente le nozioni di «tempo», di «spazio» e di «moto», sia per ridurle se è possibile ad altre nozioni ancora più elementari e più immediatamente conosciute, sia per investigarne l’origine psicologica e le condizioni di sviluppo nell’individuo o nella razza.
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Newton Philosophiae
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