Il fatto che una considerazione di questo tipo non sia stata sufficiente per Comte ad ammettere la psicologia nella serie delle scienze fondamentali, può essere spiegato, mi pare, soltanto con il timore di introdurre con essa un elemento di incoerenza nella gerarchia delle scienze che egli aveva costruito: in seno alla psicologia potevano nascondersi, come nel cavallo di Troia, insidie tendenti a sconvolgere le fondamenta stesse della sua organizzazione delle scienze, e praticare in essa la breccia attraverso la quale sarebbe entrata la tanto temuta «metafisica».
Per comprendere che un tale timore non era del tutto ingiustificato, basta pensare alla competenza sempre maggiore che si tende ad attribuire alla psicologia, e specialmente alla psicologia comparata, in tutte le questioni che riguardano la critica delle nozioni e dei principi che sono alla base di ciascuna scienza, comprese la matematica e la meccanica, e al bisogno sempre crescente che esse provano di approfondire e scomporre nei loro elementi più semplici i concetti e i processi fondamentali di cui si servono. Ci si accorge sempre di più che i problemi relativi alla legittimità di questi e ai limiti della loro validità e della loro applicabilità non possono essere separati dalle ricerche che vertono sulla loro origine, sulle diverse forme in cui si sono presentati nelle diverse epoche della storia, sulle cause o le condizioni che ne hanno determinato lo sviluppo e le modificazioni.
È naturale che alla funzione singolare ed originale che la psicologia viene così ad assumere nei confronti delle altre scienze, come intermediaria indispensabile tra esse ed ogni tentativo di elevarsi ad una concezione sintetica del mondo e della vita, debba corrispondere una sua posizione non meno caratteristica e singolare in ogni classificazione delle scienze che aspiri a tener conto dei legami più organici e fondamentali che le uniscono.
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Comte Troia
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