», e quelle che si riferiscono invece alla domanda: «Da quali motivi si è indotti ad agire conformemente a ciò che si riconosce come giusto?».
Le questioni che rientrano nell’uno e nell’altro di questi due tipi appartengono, secondo l’autore, a due ordini di ricerca che non solo è possibile ma necessario tener nettamente distinti fra loro, in quanto ciascuno di essi si basa su una differente classe di dati, e in quanto le conclusioni, alle quali in ciascuno di essi si arriva, hanno e mantengono il loro valore indipendentemente affatto da quelle alle quali si arriva nell’altro. La determinazione, infatti, dei caratteri e dei criteri di distinzione tra norme giuste e norme ingiuste, può essere compiuta all’infuori di ogni preoccupazione relativa all’esistenza o l’efficacia di motivi atti a garantirne l’osservanza, mentre, d’altra parte, l’analisi psicologica dei vari fattori o moventi dai quali può dipendere il fatto che noi seguiamo o no una data condotta, che riconosciamo come giusta, non esige affatto che si risolva alcuna questione sulla maggiore o minore legittimità o plausibilità delle ragioni che ci possono aver indotti a ritenerla tale.
A impedire che una distinzione apparentemente così ovvia e semplice sia comunemente percepita con sufficiente chiarezza, cooperano, secondo l’autore, le circostanze seguenti:
le speculazioni sui principi della morale, dovendo la loro origine soprattutto al bisogno di trovare delle giustificazioni teoriche (cioè di ridurre in sistema coerente) delle norme effettivamente vigenti e sancite dalla legge e dalla pubblica opinione in un dato stato di società, non potevano a meno che riferirsi da principio, in modo quasi esclusivo, a quelle parti della condotta che ivi erano riputate appunto bisognevoli di norme coattive e di sanzioni esteriori, a classi cioè di azioni, che, senza gli incentivi provenienti da tali coazioni o sanzioni, non sarebbero state spontaneamente eseguite (almeno con sufficiente grado di regolarità) dalla generalità dei componenti la società stessa.
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