È invece alla seconda parte, nella quale risiede la principale ragione d’essere dell’etica come ramo indipendente d’indagine distinto della psicologia propriamente detta, che l’autore intende in particolar modo rivolgere la sua attenzione.
Egli osserva anzitutto come l’esigenza fondamentale che essa tende a soddisfare, il bisogno cioè di criteri generali di distinzione tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, nel mentre presuppone, come condizione indispensabile pel suo stesso sorgere, il riconoscimento istintivo di certe norme di condotta come morali o immorali, come giuste o ingiuste, pure non comincia a farsi veramente sentire se non quando il lavoro d’analisi e di riflessione critica, applicato alla ricerca delle ragioni di un tale riconoscimento, giunga a un certo grado di sviluppo e d’intensità.
Occorre cioè che questo lavoro abbia prima portato a mettere in questione la sufficienza dell’appello ai costumi e alle leggi vigenti come mezzo di giustificazione della condotta individuale, e a far riguardare alla lor volta anche le leggi e i costumi stessi come bisognevoli o suscettibili di qualche «giustificazione razionale», indipendente dal fatto della loro esistenza o antichità o dall’autorità delle persone alle quali se ne attribuisca l’origine. Una tale «giustificazione razionale», in quanto non si appoggia direttamente a un determinato sistema di credenze religiose, non può realizzarsi che sotto l’una o l’altra delle seguenti due forme:
1) o come un appello, da costumi o leggi particolari d’una determinata società, a costumi o leggi che, pel fatto di essere comuni a nazioni o popoli differenti, si presentano come sussistenti all’infuori di qualsiasi particolare convenzione sociale, e come aventi in certo modo una radice e una sanzione «naturale» nella costituzione stessa dell’animo umano;
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