2) o come un tentativo di assegnare, alle regole di condotta che si tratta di «giustificare», il carattere di mezzi ordinati, direttamente o indirettamente, alla salvaguardia o al raggiungimento di qualche fine o risultato corrispondente a desideri od aspirazioni comuni ai membri della società in cui la legge o il costume ha vigore, o almeno alla maggioranza di essi o alla classe dominante.
Al primo di questi due modi di soddisfare a quella ch’egli chiama l’«esigenza giustificativa» l’autore non crede si possa attribuire che un’efficacia transitoria, in quanto quello stesso lavoro di critica e d’analisi di cui sopra parlammo, pure attaccandosi in primo luogo e con maggiore successo a spogliare del carattere di criteri inappellabili del giusto e dell’ingiusto le leggi o le costumanze che si presentano come peculiari di determinate società e come soggette a variare passando da una nazione ad un’altra, o da un tempo ad un altro, non ha nessuna ragione per limitare ad esse la sua azione demolitrice e dissolvente. Anche indipendentemente dai progressi delle cognizioni etnografiche, che mettono in luce una diversità sempre più grande tra i costumi, i criteri di apprezzamento morale, o il modo di concepire il diritto, presso le varie nazioni e razze, è evidente come anche la più completa «universalità» d’una data norma di condotta, perfino il fatto che essa sia stata riconosciuta giusta in ogni tempo e in ogni luogo, non differisce, per così dire, che in quantità, e non in qualità, dal fatto della osservanza o del riconoscimento della norma stessa presso un dato popolo o in una società determinata.
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