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      Di ciò un esempio tipico ci è fornito dalla questione del «libero arbitrio», ed è a questa anzitutto che l’autore rivolge le sue considerazioni, dirette a chiarirne il senso e la portata coll’impiego simultaneo dei due metodi che a ciò gli sembrano dover riescire più efficaci: cioè da una parte mediante la determinazione precisa del significato dei termini implicati in tale controversia, e, dall’altra, mediante l’analisi storica e critica delle origini e delle varie fasi di svolgimento di ciascuna delle due opposte dottrine.
      Le conclusioni alle quali questi due procedimenti concorrono a condurlo possono brevemente riassumersi come segue:
      la differenza d’opinione tra i sostenitori e i negatori del libero arbitrio consiste nelle diverse risposte che essi credono di poter dare, non a una, ma a due questioni perfettamente distinte e indipendenti fra loro, la cui sovrapposizione, favorita dalla ambiguità del linguaggio, è la causa principale delle difficoltà che essi provano, non solo a mettersi d’accordo, ma anche puramente a «capirsi» vicendevolmente. La prima di tali questioni è questa: se quei fatti che noi chiamiamo le nostre volizioni o deliberazioni posseggano o no quei caratteri che i progressi delle scienze ci conducono sempre più a riconoscere in ogni altro ordine di fatti, quello cioè di essere effetti di determinate condizioni, o, ciò che è lo stesso, di succedersi secondo leggi determinate che permetterebbero, a chi le conoscesse, di prevederne la produzione e l’andamento, allo stesso modo come l’astronomo predice la posizione degli astri, o come si ammette, per esempio, che il meteorologo potrebbe predire il succedersi delle vicende atmosferiche se fosse al fatto di tutte le circostanze che concorrono a produrle.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483