Poiché una tale «giustificazione» non può consistere in altro che nel fare appello a qualche altra norma più generale di cui la norma in questione sia conseguenza, o alla desiderabilità di qualche fine che la condotta di cui si tratta tenderebbe a far raggiungere, egli ne trae la conclusione che alla base di qualsiasi processo di «giustificazione» (a meno che questo debba proseguire indefinitamente senza mai potersi compire) è necessario si trovino una o più norme che si è d’accordo ad ammettere come non bisognevoli di giustificazione, o uno o più fini la cui desiderabilità è riguardata come indiscutibile e indipendente dalla nostra credenza che essi possano o no fungere da mezzi per fini ulteriori: precisamente come alla base di ogni processo di dimostrazione matematica devono necessariamente trovarsi una o più proposizioni che si ammettono come evidenti e non bisognevoli di prova (assiomi), oppure che si presuppongono come concesse (postulati).
Il credere che a un tale bisogno di fini desiderabili per se stessi, o di norme portanti in certo modo in se stesse la loro giustificazione, si possa sopperire con un semplice appello ai risultati d’indagini scientifiche, qualunque esse siano, sui moventi della condotta umana o sulle condizioni in cui si svolge, equivale ad attribuire agli scienziati un compito e un’autorità che ad essi, come tali, non spetta.
Ufficio dei cultori di qualsiasi scienza (non escluse le scienze sociali e psicologiche) è di rintracciare e formulare le «leggi» che regolano ciascun ordine di fenomeni, cioè quelle uniformità e regolarità nel loro modo di prodursi e di accompagnarsi, che ci permettono di prevedere il loro andamento, e di provvedere a modificarlo, quando sia possibile, in conformità ai nostri desideri o ai nostri ideali.
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