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      Se di queste considerazioni, apparentemente ovvie, si fosse tenuto maggior conto da ciascuna delle parti contendenti nelle controversie relative ai «fondamenti» del diritto penale, l’autore ha ragione di credere che queste, non che mantenersi così a lungo, non avrebbero neppur potuto cominciare.
      Così, per esempio, il carattere «utilitario» della «Scuola positiva», la sua tendenza cioè a scartare, come «metafisiche» e come basate su pregiudizi «contrari alla scienza», tutte le considerazioni che mirino a giustificare il diritto di punire senza basarlo direttamente sul concetto della «difesa sociale» e dell’utilità comune, deve gran parte della sua apparente plausibilità all’avere i positivisti trascurato di osservare come anche l’appello all’utilità generale, in quanto corrisponde ad ammettere questa come un criterio generale di condotta e di valutazione delle azioni umane, in quanto ci presenta quindi una tale utilità generale come un fine atto a giustificare ogni mezzo diretto a raggiungerlo, può così poco dirsi un «risultato della scienza» come l’appello a qualsiasi altro criterio di giustizia che si sia mai posto a base del diritto penale.
      La propensione, infatti, o la ripugnanza, ad assumere l’utilità generale come unico criterio di giustizia, non dipende tanto dal fatto di possedere o non possedere determinate cognizioni, quanto dal fatto di essere o no suscettibili di determinate preoccupazioni morali o sentimentali. Anche l’utilitarismo è una «morale» come un’altra, e ciò, ben lungi dall’essere la sua condanna, costituisce la migliore delle sue difese, poiché è in nome della sua superiorità come ideale morale e non in nome di un preteso responso della «scienza positiva» che esso può pretendere di subentrare al posto dei criteri di giustizia che hanno avuto vigore in epoche anteriori alla nostra, o l’hanno ancora presso razze diverse dalla nostra.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483