Così, per esempio, quando i fautori dell’«individualizzazione» della pena rimproverano ai penalisti della scuola classica di considerare il reato come un’«entità a sé», astraendo dalla qualità della persona che lo commette, hanno certamente una parte di ragione, ma ne avrebbero ancora di più se non dimenticassero che un grado maggiore o minore di astrazione dalle particolarità dei singoli casi concreti è una condizione necessaria per potere anche solo enunciare qualsiasi norma relativa all’applicazione delle pene. Qualunque legge, appunto pel fatto di essere una legge, non può contemplare che delle classi di casi, riguardandoli solo in ciò che essi hanno di comune; e, in particolare, qualunque legge penale non può a meno di far astrazione da un numero più o meno grande delle particolarità in cui possono eventualmente differire le singole azioni concrete future alle quali essa è destinata ad essere applicata. La questione non è se la legge debba o non debba considerare casi astratti, ma piuttosto quali siano le particolarità che è bene siano contemplate da essa e quali invece quelle dalle quali essa può «fare astrazione». Se questo procedere all’ingrosso e per casi «medi» è un inconveniente (e certo non si può affermare che non lo sia), è un inconveniente che è inseparabile dall’esistenza stessa della legge, e che non potrebbe essere evitato senza cadere nell’altro maggiore di abbandonare interamente il delinquente all’arbitrio dei giudici o agli impeti momentanei del sentimento pubblico.
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