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      La distinzione tra leggi e fatti, egli osserva, per quanto d’importanza fondamentale nella filosofia delle scienze, è ben lontana dall’essere nettamente concepita anche dagli stessi scienziati. Da una parte quelli tra essi che sono abituati all’osservazione e all’induzione, i biologi per esempio, propendono a riguardare i fatti come oggetto unico e diretto di ogni ricerca scientifica, e a qualificare le leggi come dei «fatti generali». Dall’altra parte i cultori delle scienze in cui predomina l’astrazione e il ragionamento deduttivo, sono spinti a riguardare le leggi come qualche cosa di affatto diverso dai fatti a cui esse si «applicano», come qualche cosa che sussisterebbe anche se essi non esistessero, e che ci permette di comprendere perché essi avvengano in un modo piuttostoché in un altro. Per decidere se e fino a che punto l’una e l’altra di tali due opinioni, apparentemente inconciliabili, possa essere accettata, l’autore osserva anzitutto come una «legge», nel senso scientifico della parola, non esprimendo altro che il costante accompagnarsi o succedere di certi fenomeni a certi altri, è sempre suscettibile di essere enunciata nella forma seguente:
      «Se e dovunque la tale circostanza, o il tale insieme di circostanze, si verifica, o si è verificato, si verificherà (o si sarà verificato) anche il tal altro fatto o insieme di fatti». Con essa si afferma cioè soltanto che quest’ultimo fatto, o insieme di fatti, non può avvenire senza essere preceduto da determinati altri fatti, e che quando questi si verificano, anch’esso non può mancare di verificarsi.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483