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      Deriva da ciò che, allo stesso modo come, in matematica, una equazione a più incognite non può servire a determinare il valore di alcuna di esse se non a patto che si conosca, o si suppongano conosciute, tutte le rimanenti, così anche la conoscenza di una legge non ci potrà servire per prevedere se in un dato caso concreto si verifica o no il fatto, di cui in essa si parla, se non a patto che noi conosciamo inoltre, per altra parte, che nel detto caso concreto sono presenti quei determinati altri fatti che dalla legge sono designati come sue condizioni.
      Il conoscere che tali condizioni effettivamente sussistono è un genere di cognizione affatto distinto dalla cognizione della legge, pure essendo una cognizione indispensabile per decidere se la legge è o no «applicabile» a ciascun caso concreto che si consideri. Ne giova opporre che il verificarsi delle suddette condizioni ci può essere, alla sua volta, indicato dalla conoscenza di qualche altra legge, poiché, in tal caso, anche di questa seconda legge si potrà ripetere ciò che si è detto della prima, cioè che anch’essa non può essere riconosciuta applicabile al caso in questione se non a patto che si riconosca già, per altra parte, che nel detto caso si verificano le ulteriori condizioni che figurano nel suo enunciato, e così di seguito.
      Se ne conchiude che, quando ci serviamo della nostra conoscenza delle leggi naturali per la spiegazione o la previsione dei fenomeni ai quali esse si riferiscono, ci è necessario far capo, direttamente o indirettamente, alla constatazione pura e semplice del sussistere, o non sussistere, di singoli fatti particolari.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483