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      Che di questo carattere godano le proposizioni enunciate da altre scienze oltre l’aritmetica, che esso competa per esempio agli assiomi della geometria o ai principi fondamentali della meccanica, costituisce una delle questioni più dibattute tra i cultori di quella che si chiama la «teoria della conoscenza», e per quanto i filosofi e gli scienziati moderni più competenti non sembrino lungi dall’accordarsi sulla risposta - negativa - che ad essa si deve dare, pure anche l’opinione contraria, sostenuta dall’autore, è certo ancora lontana dal poter essere qualificata come manifestamente assurda.
      Ma come sostenere che lo stesso carattere competa anche a tutte le leggi contemplate dalle scienze che egli colloca nella categoria delle scienze «teorematiche», categoria che, come vedemmo, si estende dalla matematica fino alla biologia e alla sociologia?
      Di fronte all’inammissibilità d’una tale conclusione, l’autore è costretto a rinunciare all’applicazione rigida del criterio da lui adottato, e infatti dopo avere indicato, come una qualità caratteristica delle leggi propriamente dette, la suddetta «necessità», e dopo averla attribuita al fatto che la nostra conoscenza di esse è attinta alla semplice contemplazione delle «idee», o della «natura» delle cose a cui esse si riferiscono, egli si limita a riconoscere un tale carattere solo alle leggi della matematica e della meccanica, e afferma anzi espressamente che quelle della fisica e della chimica (e a maggior ragione quelle delle altre scienze teorematiche) possono solo riguardarsi come atte ad acquistarlo: «Le jour ou nous aurons sur l’impénétrabilité, la masse, le poids, des idées aussi claires que celles que nous avons du groupement, de la forme, du mouvement, la physique pourra devenir aussi déductive et aussi constructive que la mathématique» (p. 66).(72)


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483