Questi appunti si riferiscono soprattutto alle restrizioni e cautele da cui conviene sia accompagnato, nelle scienze storiche e sociali, l’impiego dei concetti di «legge» e di «causa» ed «effetto», quali si adoperano nelle scienze naturali.
Si discute ancora frequentemente se si possa parlare di «leggi storiche» nello stesso senso in cui si parla, per esempio, di leggi fisiche o chimiche, e se il ricercarle sia ufficio dello storico o non piuttosto egli si deva attenere alla semplice descrizione e documentazione dei fatti e alla critica delle rispettive testimonianze.
Una gran parte dei dispareri in proposito sembra a me dipenda, più che da altro, dalla mancanza di un concetto sufficientemente chiaro di ciò che s’intende effettivamente per legge nelle scienze fisiche e matematiche e dalla tendenza ad attribuire alle leggi, da queste considerate, dei caratteri che esse sono lontane dal possedere.
Così, per esempio, è un luogo comune il porre in contrasto le regolarità e le analogie, che ci presenta l’osservazione dei fatti sociali, colle leggi che sussistono nel mondo fisico, dicendo che queste ultime sono invariabilmente vere e non ammettono eccezioni, mentre ciò non si verifica per le prime.
A porre in luce l’insussistenza d’un tale contrasto nulla potrebbe meglio contribuire che l’esaminare un po’ da vicino per quali procedimenti, e a che prezzo, le leggi della fisica e della chimica, e più ancora quelle delle altre scienze naturali, acquistino il carattere di ineccepibilità che loro si attribuisce.
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