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      Mi limiterò a citare due esempi di questo fatto, ricavando l’uno dalle speculazioni etiche e l’altro dalla teoria della conoscenza.
      Il primo ci viene offerto da quei filosofi o scienziati i quali, per il solo fatto d’ammettere che le azioni umane non costituiscono un’eccezione a ciò che essi chiamano legge di causalità, cioè per il solo fatto di ammettere che esse sono regolate da leggi invariabili come ogni altra categoria di fenomeni, si son creduti in obbligo di rigettare come illusorie e illegittime le nozioni di responsabilità morale, merito, ecc., e perfino la distinzione tra azioni volontarie e azioni involontarie o tra gli avvenimenti che dipendono dalla nostra volontà e quelli che non ne dipendono; come se queste nozioni e distinzioni non trovassero il loro fondamento più sicuro ed inoppugnabile proprio nella considerazione dei diversi tipi di cause che concorrono a determinare le nostre azioni e dei differenti mezzi a cui di conseguenza si può e si deve ricorrere per provocarle o impedirle.
      L’altro esempio ci è offerto dai filosofi o scienziati i quali dichiarano che la scienza o la filosofia non possono pretendere di conoscere nulla intorno alla «natura delle cose» o alle «vere cause» dell’universo, giacché la loro unica funzione legittima si limita alla determinazione delle leggi di successione e coesistenza dei fenomeni. Come se, tra i problemi che i loro predecessori formulavano con frasi composte con parole quali «causa» e «natura delle cose», se ne potesse trovare anche uno solo non suscettibile di esser tradotto nella nuova nomenclatura; e come se la risoluzione di occuparsi solo delle questioni che è possibile formulare in termini di coesistenza e di successione implicasse di per se stessa la rinuncia ad occuparsi di qualsiasi problema.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483