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      Ma anche in un altro senso, affatto opposto al precedente, come già si accennò indietro, le immagini riferentisi al contenere sono suscettibili di rappresentare la relazione fra le premesse e le conclusioni di un ragionamento deduttivo. Si può cioè riguardare le premesse, dalle quali una data conclusione è dedotta, non come includenti o implicanti la conclusione stessa, ma al contrario come gli elementi più semplici di cui essa si compone, e nei quali essa può venir risoluta. È l’immagine preferita da Platone quando nel Teeteto (206-8) paragona le premesse fondamentali delle singole scienze alle lettere dell’alfabeto (stoicheia), dalla cui combinazione risultano le sillabe, le parole, le frasi. Ed era naturale che, come lo dimostra il titolo stesso dell’opera d’Euclide, questa immagine trovasse speciale favore fra i geometri, in quanto nessun’altra è così atta a ribattere l’obbiezione di cui abbiamo parlato indietro. Alla luce, infatti, di questo paragone, tale obbiezione compare come poco meno assurda di quella che si volesse sollevare contro l’ingegno o l’originalità di un poeta osservando che tutte le parole da lui adoperate sono già registrate nel dizionario.(88)
      A questo notevole vantaggio che la rappresentazione, che abbiamo chiamata chimica, della deduzione offre di fronte agli altri modi di rappresentazione, prima esaminati, si contrappone tuttavia un inconveniente che è interessante notare. Essa tende cioè a fare attribuire alla distinzione tra verità semplici e verità complesse un valore assai superiore a quello che essa merita, e a presentare come l’ideale supremo della ricerca scientifica la determinazione di verità assolutamente primordiali, indecomponibili, atomiche, atte a generare tutte le altre mediante i loro vari aggruppamenti.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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