La forma infatti sotto la quale più frequentemente ci appaiono i risultati delle ricerche filosofiche non è quella del riconoscimento, o della determinazione, di nuove distinzioni e differenze, ma al contrario quella della critica, e del rigetto, di distinzioni comunemente ammesse.
Prima tuttavia di trarre da questo fatto conseguenze favorevoli al concetto della filosofia come un’attività predominantemente unificatrice e mirante alla soppressione di ogni distinzione e opposizione, sarà opportuno esaminare un po’ da vicino quali siano i diversi modi di procedere dei filosofi in questa loro pretesa lotta contro le distinzioni e le differenze.
Questi vari modi mi pare si possano distribuire nelle tre classi seguenti:
1) quelli che consistono nel far vedere come non esista alcuna precisa linea di demarcazione tra i fatti pretesi distinti, nel far vedere cioè che si passa dagli uni agli altri per una serie di gradazioni intermedie, di sfumature, nelle quali i supposti caratteri distintivi si conciliano, si fondono, e il contrasto tra essi sparisce, o diventa inafferrabile;
2) quelli che consistono nel far vedere che le proprietà, per le quali si suppongono differire le due classi di fatti che la distinzione stabilisce, sono possedute in egual grado dagli uni e dagli altri, oppure non sono possedute né dagli uni né dagli altri. Come, ad esempio, quando si contesta la distinzione tra egoismo e altruismo dicendo che anche i moventi, o fini, così detti altruistici non sono efficaci se non in quanto le persone, che da essi sono spinte ad agire, riguardano il risultato dell’azione come desiderabile e piacevole, e il suo non verificarsi come un dolore o la mancanza d’una propria soddisfazione;
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