Rimane a considerare il terzo dei tre processi messi in opera dai filosofi per la critica delle distinzioni. Esso ha per punto di partenza la pretesa di determinare, per le distinzioni che si riferiscono a confronti o relazioni tra diversi oggetti, un senso indipendente dalla considerazione di tali confronti e relazioni. L’infruttuosità dei tentativi diretti a tale scopo viene poi riguardata come una prova dell’insussistenza e dell’illegittimità delle distinzioni stesse.
Un esempio spiegherà meglio come ciò avvenga.
È difficile trovare in tutto il campo della logica una distinzione che sia così radicale e importante come quella tra affermazione e negazione. E ciò non ostante il domandarsi se una data proposizione sia affermativa o negativa ha così poco senso come il domandarsi se un oggetto sia più grande o più piccolo senza indicare con quale altro oggetto lo si voglia confrontare. Non v’è infatti nessuna affermazione che non si possa riguardare come la negazione di qualche altra, e, se si prescinde dalle particolarità grammaticali, è precisamente altrettanto esatto il dire che ogni affermazione è una negazione come il dire che ogni negazione è un’affermazione. Ma si dovrà forse dire per ciò che tra affermare qualche cosa e negarla non vi sia alcuna differenza? La vera distinzione non è quindi tra proposizioni d’una specie e proposizioni di un’altra, ma bensì tra ciascuna proposizione e la corrispondente negazione, allo stesso modo come le parole oriente e occidente non esprimono alcuna qualità delle regioni a cui si applicano, ma indicano solamente che esse si trovano in una data situazione le une rispetto alle altre.
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