Le illusioni, alle quali dà luogo la sopra indicata tendenza ad interpretare una frase che esprime una relazione tra più oggetti come se dovesse avere un senso per ciascuno di essi preso a parte, presentano una stretta affinità con quella classe di sofismi che nella logica scolastica sono qualificati come consistenti nello scambio tra ciò che è detto «secundum quid» e ciò che è detto «simpliciter», coi sofismi cioè costituiti dal passare, da un’affermazione vera solo con certe restrizioni, o in relazione a date circostanze, a un’altra nella quale tali restrizioni sono perdute di vista.
La sola differenza tra l’un caso e l’altro è questa che, mentre pei sofismi suddetti il torto della nuova affermazione, che si pone al posto della prima, sta in ciò che essa non è provata e quindi potrebbe essere falsa, qui si arriva invece a delle affermazioni che non possono neppure essere false, in quanto le frasi che le enunciano non dicono più nulla affatto, come se si dicesse, per esempio, che due quantità sono proporzionali senza dire a quali altre due, o che una retta è perpendicolare senza dire a quale retta o superficie.
Tra i casi più caratteristici e istruttivi di questa specie sono certo da porre quelli offerti dalle recenti discussioni sugli assiomi della meccanica, in particolare sul significato della legge di inerzia.
Al modo ordinario di enunciare quest’ultima si è obbiettato a ragione che parlare di un corpo che si muove in linea retta, e di moto uniforme, non può aver senso se non si determini:
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