Dopo aver così passato in rassegna i vari procedimenti messi in opera dai filosofi per la critica delle distinzioni, e aver constatato come ciascuno di essi porti a un risultato completamente opposto a quello al quale essi sono diretti, porti cioè a fare aumentare piuttosto che diminuire il numero e l’importanza delle distinzioni medesime, non sarà inutile qualche accenno alle conseguenze che, dall’applicazione più cosciente e sistematica di tali procedimenti, potrebbero derivare al modo stesso di formulare alcune tra le questioni più discusse della filosofia contemporanea.
Si prenda ad esempio la controversia tra determinismo e contingenza.
Prendendo come punto di partenza ciò che è stato detto indietro sul concetto di causa, e tenendo presente un principio che ambedue le parti contendenti sono d’accordo ad ammettere, cioè non esservi propriamente dei fatti che si ripetono ma solo dei fatti aventi delle rassomiglianze più o meno grandi tra loro, non si può evitare di concludere che, quando si parla di una successione costante degli «stessi» effetti alle «stesse» cause, ciò che si vuol significare è in sostanza questo: che effetti che si rassomigliano succedono costantemente a cause che si rassomigliano. E poiché una rassomiglianza completa tra due fatti, siano essi cause od effetti, non ha mai luogo (nonostante le apparenze dovute alla nostra capacità di non badare che alle differenze che ci interessano), il dire che ogni fatto ha una causa non vorrà dire altro che questo: che tra i suoi antecedenti si trova qualche fatto più o meno rassomigliante ad altri che pure furono seguiti da qualche fatto avente qualche rassomiglianza con esso.
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