Una prima conseguenza, alquanto paradossale, che deriva da ciò, è che il fisico ha assai maggior diritto e necessità che non il matematico di fare delle ipotesi che si trovino, sia pure apparentemente o provvisoriamente, in contrasto coi fatti ai quali esse si riferiscono. Le operazioni del fisico hanno bisogno di crediti a più lunga scadenza che non quelle del matematico; e il negarglieli, l’esigere, cioè, che ogni particolare sua affermazione, o ipotesi, sia garantita direttamente con l’appello a delle particolari esperienze, equivarrebbe a togliergli il più efficace mezzo che egli possa avere per giungere a nuove scoperte o a nuove generalizzazioni.
Una seconda conseguenza, d’indole affatto diversa, che deriva dalle suddette considerazioni, è questa: che l’esservi, nelle teorie meccaniche e fisiche moderne, dei principi che sembrano non poter essere messi direttamente in contraddizione coll’esperienza, non implica affatto - come tutta una recente scuola di teorici della conoscenza scientifica amerebbe concludere - che essi siano superiori e inaccessibili a qualsiasi confutazione (Poincaré). Motivi sufficienti per abbandonarli, o sostituirli con altri, possono infatti venir forniti anche solo dal fatto che troppe, o troppo complicate, ipotesi siano necessarie per togliere i contrasti che successivamente si presentano tra essi e i fatti ai quali si riferiscono.
È questo anzi il solo modo nel quale una teoria fisica qualunque possa venir definitivamente confutata, non potendo alcun fatto, preso per se stesso, esser riguardato incompatibile con essa, quando si faccia astrazione dalla fatica e dalla «spesa» inerente alle ulteriori supposizioni che sarebbe necessario far entrare in giuoco, come gli epicicli nell’astronomia antica, per effettuare la «conciliazione» desiderata.
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Poincaré
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