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      Il che non vuol dire certamente che la condizione sociale degli scienziati sia destinata a discendere fino al punto di esser riguardati come dei «capitani di ventura», pronti a porre indifferentemente le forze di cui dispongono al servizio di qualsiasi causa che offra loro patti sufficientemente rimunerativi; ma vuol dir soltanto che essi devono abituarsi a riguardare la propria scienza come uno strumento di cui essi hanno l’obbligo di garantire l’efficacia e di aumentare la potenza, lasciando ogni pretesa ad essere i soli giudici dell’uso che convenga di farne.
     
      Vi è un’altra forma sotto la quale si presenta la tendenza a vedere delle divergenze di opinione e di credenze là dove non sussistono che divergenze di gusti e di aspirazioni.
      Quelli tra gli psicologi che si spinsero più avanti nell’analisi del concetto di «causa» furono condotti a concludere che non si può intendere per causa di un dato fatto se non il suo (o un suo) antecedente costante, un altro fatto cioè al quale esso tiene dietro invariabilmente. Senza contestare l’importanza di tale analisi e la sua legittimità «so far as it goes», essa mi sembra bisognevole di venire completata, introducendo la considerazione di un altro elemento che concorre, non meno dei precedenti, a costituire il significato della parola «causa» nel linguaggio ordinario.
      L’impressione che col dire «antecedente costante» di un fatto non si esprima tutto ciò che si vuol dire dicendo «la sua causa», mi sembra trovi la sua giustificazione in ciò: che nella maggior parte dei casi, quella che si chiama la causa d’un fatto non rappresenta che una piccola parte dell’intero gruppo di circostanze il cui complessivo verificarsi precede costantemente il verificarsi dal fatto stesso.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483