È d’altronde curioso il fatto, che quello appunto, tra i procedimenti seguiti dai matematici, che più si avvicina a essere, al contrario, una deduzione «diretta», quello nel quale la ricerca delle premesse cede il posto alla ricerca delle conclusioni di premesse date, è quello che ordinariamente si qualifica come di deduzione «indiretta», il processo, cioè, così detto di riduzione dell’assurdo.
Un effetto della indeterminatezza propria, come s’è visto, alle questioni che fanno capo alla ricerca delle premesse d’una conseguenza data, è il rilievo che, nella trattazione loro, assume il confronto dei vari possibili modi di raggiungere un dato risultato e la considerazione dei criteri da cui la scelta dell’uno o dell’altro di tali modi può venire guidata o limitata.
Un esempio di ciò, nel campo della matematica, è fornito dalla preoccupazione di far dipendere la prova di date proposizioni da alcuni piuttosto che da altri degli assiomi o postulati che stanno a base dell’intera trattazione: preoccupazione che si manifesta fino dai primi inizi della trattazione teorica della geometria a causa soprattutto del diverso grado di evidenza o di fiducia attribuito ai diversi assiomi o postulati che si ammetteva di potere adoperare.
È noto, per esempio, come già in Euclide si presenti la tendenza a differire e a sminuire il più possibile l’impiego del celebre postulato che da lui ha preso il nome. Conclusioni, che per mezzo di questo si potrebbero ottenere nel modo più semplice e diretto, si trovano da Euclide spesso stabilite per vie assai più lunghe e complicate al solo scopo di evitarne l’impiego.
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