Della possibilità di giungere anche per altra via a conclusioni di tal genere ci fornisce un saggio eccezionalmente interessante il volume recentemente pubblicato da G. E. Moore, sui principi della morale.(94) Riassumerò qui la parte del suo contenuto che si riferisce alla questione generale che ci interessa.
A ben comprendere il carattere delle argomentazioni alle quali il Moore appoggia la sua tesi, da lui formulata dicendo «che le proposizioni etiche sono incapaci di essere provate o confutate» e che in favore di esse non si può addurre alcuna «relevant evidence», gioverà ricorrere ancora una volta ad un esempio desunto dalla geometria.
È nota la distinzione tra le varie specie di proposizioni fondamentali della geometria, già espressa dai greci coll’opporre i postulati agli assiomi; intendendo per postulati le proposizioni in cui si afferma (o si domanda che si conceda) la possibilità di eseguire date costruzioni; per assiomi invece le proposizioni nelle quali si asserisce soltanto che una figura, corrispondente a qualche data condizione, dato che fosse costruibile, godrebbe di tale o di tale altra proprietà.
Una delle conseguenze più importanti di questa distinzione è quella di porre in vista come la soluzione di quelle questioni geometriche, in cui ciò che si domanda è di costruire una figura che soddisfi a condizioni date (problemi), non può venire effettuata senza che si faccia appello, direttamente o indirettamente, a una almeno di quelle, tra le proposizioni fondamentali, che appartengono alla classe dei «postulati». Col solo impiego, infatti, degli «assiomi» si potrà giungere tutt’al più a dimostrare che per costruire la figura cercata, basterebbe saperne costruire qualche altra, o in altre parole che la costruzione che si vuole effettuare è riducibile a qualche altra costruzione o serie di altre costruzioni.
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