Ma, per conchiudere da ciò che la costruzione in questione sia effettuabile, occorrerebbe inoltre provare che siano effettuabili le costruzioni alle quali essa è stata così ridotta. A meno dunque che questo processo di riduzione continui indefinitamente, nel qual caso il problema non potrebbe certamente riguardarsi come risolto, si dovrà finire per far ricorso ad ammissioni che riguardino l’effettuabilità di qualche costruzione, per far ricorso cioè, oltre che agli «assiomi», anche a uno almeno dei «postulati» messi a base della trattazione.
Affatto analogo è il caso nelle questioni etiche. Al posto delle domande relative alla costruzione di una data figura, compaiono qui le asserzioni riguardanti la desiderabilità di qualche fatto od oggetto. E allo stesso modo come a risolvere in geometria un problema di costruzione occorre il concorso di due specie di proposizioni: da una parte cioè quelle in cui si asserisce che la costruzione domandata sarebbe eseguibile se altre lo fossero, e d’altra parte quelle in cui si asserisce che queste altre sono effettuabili, così anche in etica per provare qualsiasi proposizione affermante la desiderabilità di qualche fatto od oggetto, non può bastare l’impiego di proposizioni affermanti soltanto che qualche cosa serve a qualche dato scopo, ma occorre inoltre che si provi che questo altro scopo sia esso stesso desiderabile. E poiché anche per la prova di quest’ultima proposizione la stessa osservazione si può ripetere, non si può a meno che far capo a qualche proposizione nella quale la desiderabilità di qualche fatto o oggetto venga affermata senza prova, a proposizioni cioè in cui ciò che si asserisce è qualche nostro volere, allo stesso modo come coi postulati della geometria si afferma qualche nostro potere.
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