Allo stesso modo come questa legge dà luogo inevitabilmente a disparità di rimunerazione effettiva tra i diversi produttori di una stessa merce (in quanto non permette che quelli tra essi pei quali la produzione rappresenta una maggior dose di sforzi e di sacrifici ottengano, per il loro prodotto, un prezzo maggiore di quello che ottengono quelli che si trovano in circostanze più favorevoli), così anche in morale, gli incentivi (premi, pene, onori, biasimi, ecc.), che rimunerano, o frenano, i «produttori» di determinate azioni, non possono che fino a un certo punto essere graduati in modo da tener conto dei diversi sforzi e delle diverse intensità di sacrifici che per ogni singolo individuo può esigere il compimento di una data azione o l’astenersi da essa.
Per ciò che riguarda anzitutto le rimunerazioni, è evidente che esse, avendo lo scopo di provocare il compimento di determinate azioni da parte di uomini diversamente capaci o diversamente inclinati a compierle, non potranno essere sufficienti a indurre i meno capaci e i meno disposti se non a patto di essere più che sufficienti per indurre ad agire i più capaci o i più disposti. Questi ultimi vengono così a godere di una rimunerazione superiore a quella che sarebbe normalmente necessaria per indurli all’azione in questione, vengono cioè a godere di una specie di «rendita», che la società, o chi per essa, concede ad essi pel solo fatto di attribuire loro meriti, o rimunerazioni, uguali a quelle che è necessario attribuire ai meno capaci e ai meno disposti per indurli a compiere azioni dello stesso genere: precisamente come il proprietario di un terreno fertile gode di una certa «rendita» pel solo fatto che, per esempio, una data quantità di grano, prodotta su quel terreno con una data spesa, non può essere pagata a un prezzo diverso da quello che è necessario pagare, per la stessa quantità di grano prodotta su terreni meno fertili, per indurne i proprietari a coltivare o far coltivare anche questi.
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