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      E osservazioni analoghe si possono ripetere per quel che riguarda i biasimi e le pene. I delinquenti per i quali la legge è fatta - quelli, cioè, sulla cui condotta essa esercita gli effetti che il legislatore ha in vista di ottenere - non sono quelli che la minaccia della pena non riesce a trattenere dall’infrazione della legge, ma al contrario quelli che agirebbero in modo diverso da quanto essa prescrive, nel caso che essa non fosse in vigore.
      Dal che deriva che le punizioni subite da chi delinque, - da chi cioè dimostra col fatto che la prospettiva della pena era per lui un freno non sufficiente per trattenerlo dal delitto -, non possono mai essere riguardate giuste in alcun altro senso che in questo: che esse sono efficaci per trattenere dal delinquere altri individui la cui «non delinquenza» dipende solo dal fatto che per essi la punizione minacciata dalla legge è un motivo bastante per contenerli dal violarla.
      I delinquenti possono quindi, per questo riguardo, concepirsi come godenti (o più propriamente soffrenti) di una specie di «rendita negativa», dovuta al fatto che quelle stesse pene che, per essi, si sono mostrate inefficaci a trattenerli dal delinquere, sono invece necessarie per mantenere onesta una categoria più o meno numerosa di persone «normali», della cui onestà la società ha bisogno di garantirsi. Il fatto, che un delinquente subisce una punizione solamente perché esistono altre persone che delinquerebbero se egli rimanesse impunito, non è né più né meno contrario a giustizia di quanto lo sia, per esempio, il fatto che chi possiede un terreno particolarmente fertile ottenga, per i prodotti di esso, un prezzo superiore al loro effettivo «costo di produzione» su quel terreno, per la sola ragione che, se ciò non avvenisse, i proprietari o coltivatori di altri terreni meno fertili si vedrebbero costretti ad abbandonare la coltivazione di questi come «non rimunerativa».


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483